Serie tv Usa vs Eu: In the flesh vs The Walking Dead

Ritorna la nostra rubrica di confronto tra serie statunitensi e serie europee: questa settimana poniamo a confronto In the flesh con The walking dead

QUESTO ARTICOLO CONTIENE NUMEROSI SPOILER SU ENTRAMBE LE SERIE: SE VOLETE VEDERLE SENZA SAPERE NULLA NON ANDATE AVANTI.

In the flesh è stata scritta da Dominic Mitchell e diretta da Jonny Campbell, che ha anche diretto due episodi di Doctor Who e alcuni della prima stagione di Ashes to Ashes, rientra nei generi soprannaturale e horror, e racconta i fatti seguenti una presunta “apocalisse zombie”.
In questa serie gli zombie sono sottoposti a un trattamento medico volto a reprimere la loro natura sanguinaria e a ripristinare quella umana. Viene definita in linguaggio molto burocratico
“partial death syndrome” ossia “sindrome da morte parziale”. Dopo un un lungo periodo di terapia psicologica e farmacologica, se i trattati rispondono bene alla terapia vengono rimandati in famiglia. E qui sorgono i veri problemi. Kieren (un credibile Luke Newberry), nonostante gli incubi in cui rivede le sue azioni nel suo stato zombie, viene rimandato alla sua cittadina d’origine: Roarton. Fondamentalmente è un tipico paesino inglese dalla comunità molto forte che si è distinta per la sua resistenza nella guerra per la sopravvivenza.
Una battaglia combattuta da un manipolo di uomini, la Human Volunteer Force, i cui reduci si sono assunti il compito di salvaguardare la sicurezza della cittadina effettuando continue ronde notturne e non accettando la nuova politica di reintegrazione voluta dal governo. A dare man forte a questo esercito di volontari vi è il prete locale che odia gli ex zombie e li bolla come creature di Satana, mostri, demoni usciti dalle tenebre per colpire e distruggere le vite e le anime della gente.
Il povero Kieren torna a casa dalla sua famiglia totalmente ignaro di tutto questo ma la realtà verrà a bussare alla sua porta molto bruscamente e si mostrerà a lui in tutta la sua devastante brutalità in una scena dai toni veramente drammatici.
Quando è ancora nel centro di riabilitazione, il ragazzo viene a conoscenza dell’esistenza di un movimento di rianimati che non vogliono accettare il trattamento e negare la propria natura di zombie. Detto movimento è costituito da alcune persone che reclutano i propri adepti attraverso un sito internet.

The Walking Dead, progettata da Frank Darabont (regista di molti film tratti dai romanzi di Stephen King, di cui il più famoso è il cult “Le Ali della Libertà” con Tim Robbins e Morgan Freeman) nel 2010 per la tv AMC è basata sull’omonima serie a fumetti scritta da Robert Kirkman (anche produttore esecutivo dello show) e illustrata da Tony Moore e Charlie Adlard. Rispetto al fumetto, di cui comunque vengono seguite le linee guida a livello di trama, Darabont ha affermato che la serie presenta parecchie novità nella storia, come ad esempio l’introduzione di alcuni personaggi inediti.
Come la serie che abbiamo esaminato in precedenza, parla anch’essa di zombie, tuttavia l’approccio è molto classico, anche se non per questo è meno affascinante.
La regia di Darabont molto cinematografica ha dei bellissimi piani sequenza che permettono allo spettatore di immedesimarsi in questo mondo apocalittico e, anche quando si indugia sullo splatter, non è mai qualcosa di gratuito o esagerato. Tutto sembra avere uno scopo. Molto belle anche le inquadrature notturne, quasi claustrofobiche, che danno il senso di disagio e angoscia in cui si trovano i personaggi.


Intrigante poi l’idea di riprendere le atmosfere di “28 giorni dopo” di Danny Boyle, con il protagonista, Rick Grimes (Andrew Lincoln, famoso per il film “Love Actually” e molto a suo agio nel ruolo), che si risveglia in ospedale, dove era ricoverato a causa di una sparatoria, e trova un mondo totalmente diverso da quello che conosceva. Rick non ha nulla dell’eroe tutto d’un pezzo a cui troppo spesso il cinema e la tv ci hanno abituati.

E’ un uomo già in crisi matrimoniale prima del ferimento, un uomo che non sa come farsi capire dalla moglie e non vuole ferire il figlio con i loro litigi. A tutto questo si aggiunge poi il senso di smarrimento e paura in cui si ritrova dopo il risveglio. Il suo mondo, come dicevamo, è stato spazzato via e lui è stato catapultato in questa nuova realtà, troppo simile a quella dell’Apocalisse, di cui in prima battuta non riesce quasi a realizzarne le proporzioni. Soccorso da un padre e un figlio, dopo svariati momenti di fraintendimento, l’uomo, lentamente, inizia a prendere coscienza di quello che è successo.
Il difetto più grosso è senz’altro quello di pretendere a volte troppo dalla sospensione di incredulità dello spettatore. Ad esempio Rick riesce ad uscire dall’ospedale, ferito in maniera grave, e a camminare fino a casa e dopo poche ore si mette anche a sparare. Si può reggere fin qui con la sospensione, ma quando lui sopravvive rinchiuso in carro-armato all’assalto degli zombies, non si può non sorridere. Nessuno pretende un documentario, stiamo pur sempre parlando di fiction, semplicemente alcune situazioni che si vedono ci possono anche stare, altre no.
Inoltre il ripetersi di situazioni già viste nel corso di quattro anni non aiuta molto lo scorrere della trama che alla fine è sempre la stessa: umani contro zombie questo nelle prime stagioni, poi è diventato umani contro umani con gli zombies a fare da carta da parati. E con i protagonisti sempre in situazioni estreme, a volte anche per la loro stupidità, a volte anche per sfortuna, ma alla fine riescono sempre a cavarsela.

L’altro difetto è la morale semplicistica, repubblicana, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. E a tutto ciò si aggiunge la storia della moglie in crisi con il bravo marito e che trova rifugio nel migliore amico di lui, il solito macho scontato. Quanto è stato in ospedale da solo Rick? Neanche un mese presumiamo. E non solo l’amico dice a lei che il marito è morto e i due si consolano a vicenda. Un messaggio abbastanza retrogrado anche se in qualche modo le cose si sistemano e, per fortuna, Shane esce di scena. Il punto è: The Walking Dead è una serie brutta? No, non lo è. Si può discutere sulla morale davvero pesante, diremmo censurabile. Ma la serie è ben fatta, ben recitata e i dialoghi non son così stupidi, non sempre almeno. L’impianto cinematografico si nota eccome. Si può gridare al capolavoro? A parte che, per come la vediamo noi, questa parole è usata davvero troppo. Comunque no, nessun capolavoro. Bella serie sicuramente, che mostra come in situazioni estreme e disperate saltino fuori le peggiori miserie umane, però non ci sentiamo di definirla un capolavoro originale.

In the flesh si dimostra sin da subito di ben altro spessore. Sono i piccoli particolari a mostrarcelo in tutta la loro chiarezza. La diversità tra il reale centro di recupero degli zombie e ciò che viene mostrato ai parenti quando i recuperati sono restituiti alle famiglie è eclatante.

Nel primo caso i recuperati sono detenuti in centri con filo spinato, tenuti sotto stretta sorveglianza dai medici e dall’esercito, trattati come numeri, sottoposti a una trafila di routine. Kieren più volte cerca di mostrare i propri dubbi sul fatto di essere pronto a ritornare alla sua famiglia ma nessuno sembra ascoltare davvero, preso com’è dall’esecuzione del protocollo, nel secondo caso invece si tratta di una struttura fatiscente, una sorta di tranquillo dormitorio come quello di una semplice casa di cura per anziani.
Il ragazzo viene riportato a casa di nascosto dai suoi genitori per non incorrere nelle ire della gente del paese che non crede nella politica di recupero degli zombi effettuata dal governo.
Assistiamo anche ad un’assemblea indetta da un ministro che dovrebbe illustrare i vantaggi del reintegro tra gli ex zombie nelle comunità, ma ha il solo risultato di mostrare l’abisso che esiste tra i politici e la gente comune.
Inoltre In the flesh rovescia il paradigma “vivente contro zombie”: in questo caso sono coloro che sono stati trattati a doversi difendere dal resto della popolazione e soprattutto da quelli che fanno le ronde notturne. In una scena realmente intensa Kieren riesce a salvare due non morti dall’essere giustiziati, trovando un’altra via grazie alla sua intelligenza e alla sua umanità.
E se questo non bastasse nella serie sono trattati anche temi importanti come le relazioni tra lo stesso sesso; il rapporto tra un figlio succube del padre, il giovane soldato Rick Macy amico di Kieren e un ex zombie come lui, e suo padre Bill uomo tutto d’un pezzo, reduce della battaglia di Roarton. Quest’ultimo subito non sembra prendere bene la notizia del ritrovamento del figlio per cambiare idea poco dopo imponendone la sua presenza agli altri; l’accettazione del diverso in ogni declinazione si presenti; e, soprattutto, il valore della vita e dei legami affettivi senza facili moralismi.  O almeno così sembra perché poi le cose tra Rick e suo padre non andranno bene.

Credo sia abbastanza evidente da che parte pendiamo in questo articolo, tuttavia ci teniamo a rimarcare che The Walking Dead è una bella serie che usa la tematica degli zombies per parlare di come tutto crolli di fronte a situazioni estreme, In The Flesh fa sicuramente un passo in più e ha il coraggio di osare, senza tracciare linee troppo marcate tra bene e male.
In The Flesh è attualmente inedita in Italia e veniva trasmessa in originale su BBC3 fino ad aprile del 2014. 
The Walking Dead in Italia è stata trasmessa in prima visione satellitare da
Fox dal 1º novembre al 6 dicembre 2010. L’episodio pilota è stato trasmesso in chiaro da Cielo il 21 aprile 2012.

Articolo redatto da Simona Ingrassia e Silvia Azzaroli

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